LA MARCIA, UN SECOLO
Paolo Andreozzi 28.X.2022
Hanno marciato su Roma. Che poi – studiamoci bene la storiografia, e se non abbiamo di meglio andrà benissimo anche la miglior cinematografia nazionale in argomento: da La marcia su Roma a Il federale, da Anni ruggenti a Il conformista, da Novecento a Una giornata particolare, da Il delitto Matteotti a La notte di San Lorenzo, da L'oro di Roma a Roma città aperta, da Le quattro giornate di Napoli a Pasqualino Settebellezze, da Le vie del Signore sono finite a Concorrenza sleale, da Il giardino dei Finzi Contini a I sette fratelli Cervi, da Mussolini ultimo atto a Vincere, da Tutti a casa a Salò – che poi, dicevo, fu un mezzo flop di migliaia di esaltati infreddoliti e fradici di pioggia quando invece gli organizzatori e i mandanti se ne aspettavano a centinaia di migliaia, convergere sotto l’italico sole e fiero fino ai piedi dei colli sette fatali.
Potevano fermarli. Facta, Presidente del Consiglio in carica, capita la mala parata aveva già scritto e sottoscritto l’atto di stato di assedio, con conseguente divieto di ogni manifestazione e quindi ordine di arresto e sanzione per tutti i facinorosi eventuali. Ma il Savoia rifiutò di controfirmare ed emanare il decreto: Vittorio Emanuele III aveva già sposato la causa nera, e dietro di lui tutti i Poteri Forti (agrari, industriali, massoni, alto clero, alti gradi militari) che nei Fasci da combattimento vedevano l’unico argine alle giuste rivendicazioni di milioni di lavoratori organizzati in sindacati e partiti, socialisti e comunisti.
Lui, Mussolini, nonostante si fosse assicurato così la più alta e pervasiva delle protezioni – visibile o occulta che fosse –, si guardò bene dal marciare con la teppa e i suoi condottieri: infatti era ancora pur sempre possibile un fallimento dell’impresa all’ultimo, e il duce mai avrebbe voluto esservi associato. Scese a Roma da Milano col treno, a sera fatta del 28 ottobre, con comodo e soprattutto con l’accordo in tasca che il re avrebbe dato a lui il rango di Facta ormai dimissionato.
E così cominciò. La farsa, la tragedia – il solo capitolo del XX Secolo in cui sia stata l’Italia a dar lezione al mondo, e che lezione! Che altre cricche, altri potentati, altre figure demoniache qua e là in Europa e anche fuori, appresero ed applicarono con zelo, a volte superando l’originale stesso. Le Falangi in Spagna, le Croci frecciate in Ungheria, la Guardia di ferro in Romania, gli Ustascia croati, i Cetnici serbi, il nazionalismo colonialista del Sol Levante, le squadracce antioperaie americane e i loro padrini politici nel Congresso, gli antisemiti organizzati britannici che suscitavano qualche simpatia nei governi e a Palazzo addirittura, il collaborazionismo padronale in Francia, e ovviamente le Camicie Brune, il Partito Nazionalsocialista Tedesco, la Gestapo, le SS, cioè il male assoluto della Modernità, cioè Adolph Hitler e tutti i suoi volenterosi carnefici – tutto questo non avrebbe goduto, altrimenti, del luminoso precedente di successo che agli occhi della casta criminogena mondiale rappresentava il dominio fascista, la paralisi del cammino dei diritti popolari in Italia, la dittatura sempre più scoperta su un Paese di culture millenarie e un’economia tra le più avanzate per quell’epoca. Perciò – così fu visto – fermare la Storia, la traiettoria del progresso verso emancipazione e liberazione, invece si poteva!
E infatti fu rallentata a lungo. Con costi altissimi – in termini di Civiltà, di Umanità.
Torniamo a quel che fu l’Italia intorno a quella marcia, a causa di essa, e dopo – per ventitré anni infiniti.
Fu lo squadrismo, le Case del Popolo incendiate, i braccianti e gli operai malmenati, le tipografie in fiamme, sindacalisti, socialisti e comunisti uccisi col beneplacito di padroni e règia autorità. Fu l’autarchica miseria camuffata da stolido orgoglio nazionalista per milioni di donne e di uomini lungo tutta una generazione; le privazioni quotidiane, la denutrizione, l’abbandono. Fu la distruzione sistematica dei valori democratici, civili e culturali presso un popolo intero dalle tradizioni secolari di Umanesimo. Fu le 120.000 vittime civili libiche dell’esercito fascista nel 1930 durante la deportazione delle popolazioni cirenaiche; le 600 tonnellate di gas asfissianti (iprite e fosgene) lanciate dall’aviazione fascista sulla popolazione etiopica nel 1935/36, i civili a migliaia passati per le armi dopo l’attentato fallito a Graziani nel ‘37, i 310 monaci cristiani di rito copto trucidati a Debra Libanos col plauso dei cappellani militari; fu i bombardamenti sulla Croce Rossa in Etiopia, i 17.000 etiopi deportati e sterminati nel campo di Danane in Somalia; fu i telegrammi di Mussolini a Graziani: “Autorizzo ancora una volta Vostra Eccellenza a condurre sistematicamente politica del terrore et dello sterminio”; fu l’occupazione della Grecia, dove le autorità locali segnalarono stupri di massa e il comando tedesco in Macedonia arrivò a protestare con gli italiani per il ripetersi delle violenze contro i civili (il capo della polizia di Elassona, Nikolaos Bavaris, scrisse una lettera di denuncia ai comandi italiani e alla Croce Rossa Internazionale: “Vi vantate di essere il Paese più civile d’Europa, ma crimini come questi sono commessi solo da barbari”; venne internato, torturato, deportato in Italia); fu le migliaia di donne prese per fame e così reclutate in bordelli per soddisfare soldati e ufficiali italiani; fu i 400 villaggi che subirono distruzioni parziali o totali: 200 di questi causati da unità italiane e tedesche, 200 dai soli italiani; fu l’eccidio di Mallakasha, la Marzabotto albanese; fu i 28.000 morti tra i civili in Albania, 12.600 feriti, 43.000 deportati e internati nei campi di concentramento, le 61.000 abitazioni incendiate, gli 850 villaggi rasi al suolo, le 100.000 bestie razziate, centinaia di migliaia di alberi da frutto distrutti; fu la guerra di Spagna: italiani in divisa, comandati da ufficiali fascisti, che sparano contro italiani volontari al fianco della libertà repubblicana in quel Paese; fu l’annessione della Slovenia del ‘42 con la costituzione della provincia italiana di Lubiana e le direttive dei generali Robotti e Roatta: “Si ammazza troppo poco… Sgombero totalitario, dove passate levatevi dai piedi tutta la gente che può spararci alla schiena… Distruggere i paesi e sgombrare le popolazioni”; fu i 150.000 deportati iugoslavi nei campi di sterminio di Arbe, Palmanova, Gonars, Renicci ed altri ancora, con più di 4.000 morti di fame e di stenti; fu le vittime iugoslave del campo di concentramento fascista di Zlatin, gli abitanti maschi di Srbernovo spediti nei lager, le donne seviziate dall’esercito fascista e poi gettate nelle foibe; fu la Risiera di S. Sabba, lager nazista di Trieste, dove vennero sterminati comunisti, ebrei e rom con la complicità diretta dei suoi sgherri: l’unico campo di deportazione dell’Europa meridionale, con esecuzioni o per gassazione attraverso automezzi appositamente attrezzati o con un colpo di mazza alla nuca o per fucilazione (nel complesso le esecuzioni furono almeno 5.000).
E naturalmente l’Italia fascista figlia di quella marcia su Roma, di cento anni fa giusto oggi, fu il corporativismo a tutto vantaggio dei molto abbienti, fu la reazione pura, semplice, gretta, bigotta, fu il silenziamento di ogni voce indipendente, la castrazione di ogni atto di valore, fu le leggi razziali del ‘38, il rastrellamento del Ghetto di Roma il 16 ottobre del ‘43, le Fosse Ardeatine, via Tasso, l’eccidio della Storta, Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema, i fratelli Cervi, i Rosselli, Gobetti, Matteotti, oltre 15.000 oppositori mandati al confino, Gramsci... Fu l’Asse Roma-Berlino, il Patto d’Acciaio, il Patto Tripartito, l’entrata in guerra il 10 giugno 1940, oltre 300.000 italiani mandati a morire in divisa, la follia della spedizione contro l’Armata Rossa, oltre 150.000 italiani fatti morire da civili, oltre 50.000 partigiani uccisi. Fu il numero incalcolabile di torturati, mutilati, feriti, dispersi, disgiunti, le vedove, gli orfani.
La catastrofe, lo tsunami – un’apocalisse di macerie e di dolore, senza senso.
L’ultimo fotogramma del duce, responsabile di tutto questo – insieme alle decine di complici d’alto rango, alle migliaia di esecutori fedeli, alle centinaia di migliaia di abbrutiti plaudenti –, è ancor più vigliacco del primo, quello in cui si celava alla vista della marcia su Roma fino a obiettivo raggiunto: è la fuga dell’ultim’ora, quando la patria è a causa sua perduta, umiliata, in maschera da soldatino per scavalcare in Svizzera, proprio lui che sentenziava “Se avanzo seguitemi, se indietreggio uccidetemi” (citazione rubata a un controrivoluzionario francese di fine ‘700 – neppure sua, il vanesio e ambizioso e corrotto, e violento per interposta persona).
Preso, giustiziato, esposto – com’è giusto che sia quando la Storia, troppo a lungo frenata, riprende a correre nel Tempo e si muove senza tante cerimonie formali.
Cos’è dunque questo anniversario centenario? E’ un monito – deve esserlo. Che il fascismo – quello storicamente realizzatosi in Italia a partire dagli Anni ’20 del ‘900 – è fondamentalmente, dal punto di vista soggettivo, un mix formidabile di stupidità, ignoranza, aggressività e vigliaccheria; e a metterla così sembrerebbe un fenomeno di devianza marginale che si tiene a bada da sé, quasi, notevole al limite per la cronaca nera. Eppure, purtroppo, invece divenne Storia, contagio di massa, istituzione, abito mentale e comportamentale per milioni di persone per un ventennio in Italia, e per altri milioni e milioni per anni o decenni in Germania, in Spagna, in Romania, in Ungheria, solo per restare all'Europa e soltanto alle forme del fascismo statualizzate in quel passaggio del secolo scorso. Divenne razzismo legalizzato, divenne tormento e morte per milioni di innocenti e inermi, divenne la più mortifera guerra della storia dell’Umanità.
E' una cosa grossa, quindi, il fascismo – da non sottovalutare mai: perché, dal punto di vista oggettivo, è un'arma che la guerra di classe manovra con grande esperienza e profitto, contro le classi dominate facendo sì che esse stesse adottandolo si usino violenza da sé, si neghino la libertà e l'emancipazione mentre il Potere fa affari come vuole. E' una cosa volgare, degradante: è vuota prosopopea, ha come vizio d’origine il latrocinio, è grettezza da farsa triste, violenza spietata, disonore intrinseco, è il nascondersi atavico nella pretesa del quieto vivere di chi è sempre garantito, è una falsa radice nelle tradizioni di qualunque popolo. Ed è una cosa mostruosa, perché la facilità con cui quella mescola infernale dei peggiori istinti e scopi, prende a dominare il cuore e la mente di milioni e milioni di esseri umani, autolesionisti inconsapevoli, necessariamente interpella ogni uomo e ogni donna che fascista non è né sarà mai – ci interroga proprio in quanto noi abbiamo fede nell'individuo e nelle masse, e nella direzione di marcia dell'umanizzazione: l'unica marcia che resta viva nei secoli.
I nostri anniversari perciò, a cominciare dal più sacro, il 25 Aprile, per tutti per questi buoni motivi non sono mai rituali.
Sfruttiamo stavolta anche un anniversario loro, i cento anni dalla marcia su Roma – per lo stesso promemoria igienico, salutare, speriamo salvifico per l’avvenire di questi nostri giorni così foschi da ogni punto di vista e su ogni scala di lettura.
Per non dimenticare né perdonare. Per non confondersi, per non distrarsi mai.
Antifascismo, sempre.