29/1/2022 0 Commenti Mattarella-bis dopo Napolitano-bis ovvero La Madonna dei Palafrenieri ovvero Due film di Woody AllenC'è questa tela meravigliosa, in Galleria Borghese a Roma, nella Sala del Sileno al pianterreno che ne ospita ben sei, di Caravaggio, tra cui appunto la Madonna dei Palafrenieri, del 1606. C'è Maria, una donna popolana e fiera come tutte le Madonne del Merisi, di rosso vestita, che nuda il piede schiaccia a terra la testa di una serpe, il demonio, e intanto regge per le ascelle il Bambino, un pupone sui tre anni riccio e biondo che poggia il suo piedino su quello della madre e aggiunge il proprio peso all'azione vittoriosa sul peccato. Di lato Sant'Anna, in indaco, che osserva schifata e soddisfatta la sorte del serpente. Luce sparata sui protagonisti, fondo nero, puro teatro come sempre in Caravaggio. Ora. Torna Mattarella. Torna Mattarella a richiesta col cappello in mano di tutto il ceto politico italiano, incapace in modo conclamato e imbarazzante di battere altre strade efficaci; e torna a grande richiesta – così si dice – di tutti gli altri stakeholder nazionali, europei e non, statuali, politici, economici, finanziari. Dunque, dopo un giro dell’oca il cui unico buon risultato – per me personalmente – è il suicidio politico del centrodestra, della Lega in particolare e di Salvini specialmente, millenove alti rappresentanti del popolo italiano, alle prese con un appuntamento istituzionale cui certo non si può dire fossero impreparati (che nel gennaio 2022 si debba scegliere un nuovo Capo dello Stato lo si sa dal gennaio 2015!), non hanno trovato di meglio che importunare un signore di ottant’anni e mezzo che ha già servito la patria, ininterrottamente dal 1983 (quando fu eletto per la prima volta alla Camera) con una varietà di incarichi fino all’ultimo, apicale, di Presidente della Repubblica, e che ha con assoluta onestà intellettuale trascorso l’intero semestre bianco a dire che non voleva ripetere l’esperienza del predecessore Napolitano: nessuna rielezione per lui, per motivi oggettivi – l’assoluta straordinarietà del precedente del 2013 – e soggettivi – un sovranissimo, sacrosanto “non mi va: ho già dato”. E lui, nonostante tutto quanto detto e motivato, come un adulto paziente e un po’ desolato dinanzi a marachelle reiterate di bambini, ha accettato obtorto collo – presumibilmente col patto non scritto di un mandato a tempo, solo fino a fine legislatura, e coll’ulteriore vulnus, agli occhi dell’opinione pubblica e di tutti gli osservatori in Italia e fuori, che Mattarella farà il Capo dello Stato ma non dal Quirinale, bensì da casa sua come a sottolineare la costrizione cui piega la testa ma soltanto per carità di patria e, insieme, per mesta constatazione della dis-qualità di chi ha intorno. Non sto qui a dilungarmi su quanto tutto ciò denoti l’inadeguatezza estrema di una classe politica, la quale comunque è pur sempre espressione democratica del popolo italiano e perciò incarna plasticamente l’inadeguatezza del popolo stesso quale cosciente attore del suo proprio destino. No – quel che balza ai miei occhi è questo: che con la rielezione di Mattarella si prolunga il periodo che già conta sedici anni, e arriverebbe virtualmente a ventitré, nel quale la Prima Repubblica, vituperata, poggia vittoriosamente il piede sul collo della Seconda schiacciata a terra. Infatti: Napolitano e Mattarella sono entrambi uomini del primo mezzo secolo di storia italiana dalla proclamazione della Repubblica e dalla promulgazione della Costituzione in avanti. Napolitano, uomo del Partito Comunista – della sua destra, in realtà – e in certi momenti plenipotenziario dei rapporti esteri del medesimo; Mattarella, uomo della Democrazia Cristiana – della sua sinistra, simmetricamente – e operante specialmente sul fronte della legalità anti-mafia e anti-P2 (non ininfluente fu su questo l’assassinio mafioso del fratello Piersanti, presidente della regione Sicilia all’epoca). Ebbene: nel 2006 il sistema politico italiano, ormai da un buon quindicennio autoinsignitosi dell’etichetta di Seconda Repubblica, terra felix nel proprio post-ideologismo, ritenne però che proprio l’ottantunenne ex-comunista Napolitano potesse sedere sul colle più alto a rappresentare l’unità della nazione e garantirne il rispetto della Carta Costituzionale; e nel 2013 chiese allo stesso di togliergli le castagne dal fuoco di una crisi economica, politica e di credibilità internazionale, ed accettare, a ottantotto anni, un secondo mandato – almeno per un po’; e nel 2015, sempre la stessa classe politica professionale secondorepubblicana, ha scelto l’ex-democristiano Mattarella perché si caricasse sulle spalle gli onori e oneri del vertice istituzionale dello Stato; e infine nel 2022, implora il medesimo di rimangiarsi ogni sua tempistica e cristallina dichiarazione pubblica precedente, e assumere un secondo mandato proprio perché non si è trovato nessun altro: né politici né tecnici né donne né outsider – pur con tutte le posizioni espresse magniloquentemente da leader e sub-leader da giorni e settimane. Quindi, guardando da lontano il quadro ma anche da vicino i suoi dettagli, cos’è che si vede? Si vede la sedicente Seconda Repubblica, intera, col cappello in mano da sedici anni a questa parte, e per altri sette – salvo intese segrete fra Mattarella e i partiti –, chiedere, balbettando e frignando, alla Prima Repubblica di incarnare, con un vecchio comunista prima e un vecchio democristiano poi, la massima carica della nazione per manifesta incapacità sua propria a farlo decentemente: gli uomini e le donne del cosiddetto nuovo, cioè, non si fidano di sé stessi al punto di aver bisogno dei superstiti della preistoria quando – come si dice – il gioco si fa duro. Per ironica coincidenza, oggi stesso il massimo incarico giurisdizionale dell’ordinamento viene conferito a Giuliano Amato, ottantaquattrenne a settimane, eletto Presidente della Corte Costituzionale per l’ordinario quadriennio; Amato, esponente apicale del fu Partito Socialista, deputato dal 1983 anche lui come Mattarella. Cosa ne traiamo, per forza incoercibile dei nudi fatti? Che la Seconda Repubblica, cioè il sistema politico e non politico nazionale emergente dal combinato disposto di referendum istituzionale del ‘90, picconate di Cossiga, suicidio del PCI, Tangentopoli e Mani Pulite, e discesa in campo di Berlusconi del ’93, ebbene che tutto questo insieme – tutto: il berlusconismo, i leghismi di ogni tipo, lo sdoganamento dei post-fascisti, lo snaturamento della sinistra, e cioè il PD in quanto tale, il populismo, e cioè il M5S e l’ultima sua sussunzione a Palazzo, è semplicemente scarto della Storia; ed è consapevole di esserlo, prova ne sia il reiterato affidamento che fa in uomini della precedente stagione dell’Italia Repubblicana. Già: politicamente, come povertà di idee e come inadeguatezza di persone, il nuovo (che tanto nuovo più non è, datandosi ormai un trentennio) non è stato e non è altro che immondizia; però socioeconomicamente è servito e serve a veicolare privatizzazioni, precarizzazioni, delocalizzazioni, depenalizzazione degli interessi di classe, forbice dei redditi, indebolimento della contribuzione fiscale, arrivismo ed egoismo elevati a modus vivendi, macelleria dei diritti, razzismo sempre meno strisciante, insofferenza incipiente verso la stessa democrazia. Ma non devo parlare di questo, ora. L’Età Berlusconiana, sinonimo di Seconda Repubblica, ha provato un colpo di coda con l’auto/etero-candidatura/noncandidatura del vecchio e malato satrapo, e già solo questo ha rubato un buon mese di lavoro – ammesso lo si volesse svolgere seriamente – a una ricognizione razionale per l’elezione del nuovo Capo dello Stato. E’ stato un regalino tra gli ultimi – confido, nella fisiologia e nella patologia ordinarie – di Silvio Berlusconi al popolo italiano. Per il resto, ciò che consegna alla Storia un’epoca che comunque avrà un ampio capitolo sui manuali – più del Risorgimento, più dell’Età Giolittiana, perfino più del Fascismo – sono macerie, con tutta evidenza e per stessa ammissione implicita dei suoi protagonisti ogni volta che si tratta di prender decisioni importanti. Draghi – coerentemente con ciò che dico –, l’intoccabile dominus dell’azione politica ed economica del Paese, non appartiene certo a questo ceto nato e pasciuto nel berlusconismo ovvero in contrasto (apparente, o quantomeno inane) ad esso: è un tecnico, come si ripete fino alla noia, e conferma che alle strette la Seconda Repubblica abdica sempre e comunque alle proprie responsabilità; o si va a pescare chi politico non è, come Draghi, o chi proviene dalla vecchia scuola, come Napolitano, Amato, Mattarella. Ed ecco cosa c’entra Caravaggio. La Vergine è la vecchia scuola appunto, la Prima Repubblica, quella nata con la Costituzione in mano, e il serpentello è la Seconda, il Berlusconismo, il leghismo, il post-fascismo, il populismo, ma anche il blairismo della sinistra, l’ulivismo, l’ecumenismo per finta dei leader politici e sindacali, e anche le querule vocine degli antagonisti che servono loro malgrado a coprire pur le ultime comparsate previste nel copione. E c’è poco da goderne, perché quella serpe modernista schiacciata dal peso di una storia di competenza statuale ormai solo superstite, siamo anche tutti noi under, amici e compagni – già: per il semplice fatto d’esser nati diciamo dagli Anni ’50 in avanti, quindi aver preso in piena faccia la "mutazione antropologica [e ciò che] ha mutato i caratteri necessari del Potere" (Pasolini, Corriere della Sera – giugno 1974) e poi aver abbracciato il nuovo a suo tempo, semplicemente perché era nuovo, magari senza mai votarne le espressioni politiche autografe (Forza Italia ed epigoni, Lega, destre varie, centri proteiformi) ma pur sempre accettando le regole del gioco come fossero “un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto” (Gramsci, La città futura – febbraio 1917), dal disimpegno allo yuppismo, dalla TV commerciale allo svuotamento della cultura civica. E il Bambino? Ad esser generosi, il pupone sono tutti quegli italiani che – almeno – non son stati complici del peggio di questo trentennio (e allora mi ci metto anch’io, scusate, e un po’ di altra gente di buona volontà, retto pensiero e azioni conseguenti), nonostante l’abbiano vissuto per intero senza – mi pare – optare né per la lotta armata né l’anacoresi del perfetto isolamento. E comunque di un bimbo si tratta, appunto: un minore, un giuridicamente incapace, politicamente immaturo, nonostante barbe bianche, pelate ingenerose, rughe spianate a forza e tinte pervicaci. Sì, siamo proprio noi. Ma Sant’Anna? E non lo so: mica lo prevedeva, Caravaggio all’epoca, che avrei preso a epifania il suo capolavoro, e magari non ce n'è il corrispettivo di ognuno dei personaggi ritratti. Comunque – fate un po’ che sia l’Europa, o i mercati onniscienti. Infine, concedetemelo: la suggestione tra serpentello e Biscione è fulminante! Chiudo su Woody Allen: due pillole appena. Su Caravaggio – a discolpa del mio facile accostamento, quasi banale, c’è una battuta in un suo bellissimo film del 1986, Hannah e le sue sorelle: Lee (Barbara Hershey) sussurra a Elliot (Michael Caine) suo cognato, in una meravigliosa libreria d’arte di Manhattan, forse per far colpo, “Ti piace il Caravaggio?”, e lui con franchezza pur tenero: “Ah, sì! E a chi no?”. E’ perché Merisi piace a tutti, giustamente, ma è anche il bene-rifugio di quelli che con la pittura hanno meno dimestichezza; e forse così il sottotitolo di questo mio articolo può aver attratto qualche lettore in più che altrimenti. Non lo so – io ci ho provato. E in un altro film, sublime, della prima fase alleniana, Amore e guerra (1975), c’è Boris (Woody stesso) innamorato di Sonja sua cugina (Diane Keaton), ma lei – di una leggerezza morale pari alla sua bellezza sensuale – invece desidera farsi sposare da Ivan, fratello bellicoso e troglodita di Boris; solo che proprio quando crede che quello stia per annunciare a tutti le loro nozze, Ivan invece dice che si è arruolato e andrà in guerra per lo Zar contro Napoleone. Sonja immediatamente, per non mostrarsi a tutti scaricata, indica l’anziano del villaggio (ricchissimo) come futuro marito, ma quello all’istante stramazza al suolo e muore; e allora lei, senza perdersi d’animo, finisce la frase “Mi sposerò con…” abbracciando il mercante di aringhe del paese, sorpreso come tutti i presenti ma che tuttavia accetta la manfrina e se la sposa. Ecco. Io al posto di Sergio Mattarella, la figura di quel mercante d’aringhe preso al laccio dalle millenove Sonje che si sono rivelati essere i grandi elettori riuniti a Palazzo, non l’avrei mai fatta per nessun motivo; neppure la ragion di Stato la più nobile. "Crescete", avrei pensato invece, "una buona volta, oppure crepate." Paolo ANDREOZZI LETTERA APERTA AL NUOVO CAPO DELLO STATO
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